Il freddo dell’alba e il cielo coperto di Seul ci salutano mentre saliamo sul treno per l’aeroporto. Ma non stiamo tornando a casa, siamo diretti a Tokyo.
Dopo un paio d’ore seduti sugli scomodi sedili di Asiana Airlines, approdiamo in Giappone. Lo avevamo scoperto nell’estate del 2014 con un caldo soffocante, ma lo avevamo amato attraversandolo in lungo e in largo a bordo di uno Shinkansen. Eravamo curiosi di riscoprire la capitale, di ritrovare quell’amore mai sopito che in tutta fretta si è risvegliato e, se possibile, è perfino aumentato.
TOKYO
La città è diversa, l’aria è fresca e pulita, il cielo sgombro dai nuvoloni e le strade sono libere da noiosi ingorghi turistici. L’architettura lineare e pulita è rimasta intatta, così come lo sono i giardini della città e quell’intricatissimo groviglio di fili della corrente che attraversa le strade a pochi metri da terra. Una giungla moderna dove, adesso, le insegne bilingue spuntano ad ogni angolo e i giapponesi appaiono più sereni e un po’ più disordinati, impegnati a godersi la vita.
Usciti dalla stazione centrale saliamo su un taxi, direzione Nest Hotel Hanzomon. Trascorreremo qui i prossimi 5 giorni e abbiamo intenzione di scoprire nuove zone, goderci le vecchie e assaporare tutta la giapponesità possibile.
La prima tappa è Asakusa, un quartiere tradizionale, nel quale tra vecchi edifici, ristoranti e bancarelle si fa spazio il sontuoso e antico tempio buddhista Senso-ji e l’altissima pagoda di 53 metri. Arrivati sulla via principale ci infiliamo nel primo ryokan tipico, inseriamo le monete nella macchinetta per l’ordinazione e ci sediamo, pronti per gustare un buon ramen rifocillante. Nella strada di Nakamise-dori ci sono giovani in kimono, le botteghe servono sfiziosi sembei – dolcetti di riso ripieni di fagioli rossi o tè matcha – e intanto le insegne s’illuminano per l’arrivo della sera. I visitatori si accalcano all’ingresso del tempio perché con l’anno nuovo, arrivano anche i buoni propositi e i giapponesi si dedicano alle preghiere di buon auspicio.
Più tardi ci spostiamo ad Akihabara perché voglio tornare a rovistare su quegli scaffali straripanti di manga, con il profumo pungente della carta appena stampata intrisa di inchiostro. Voglio curiosare alla ricerca di cose nuove o, magari, scovare qualche cimelio dei miei shōjo preferiti da Mandarake. I grandi edifici sono costellati di cartelloni che sponsorizzano l’ultimo anime e il successo dell’Idol del momento, le luci ci travolgono come la musica che rimbalza da un negozio all’altro. Le giovani lolite dagli occhi a mandorla ci invitano a gustare caffè caldo e compagnia in un maid-café, ma noi proseguiamo a caccia di qualsiasi cosa abbia su scritto Sailor Moon.
E’ l’ora di cena. Non so perché ma ho sempre amato la Tokyo Tower – la versione rossa, minimale e più lineare della Torre Eiffel – così torniamo ai suoi piedi ad ammirarla dal basso e poi ad osservarla dall’alto delle Roppongi Hills. Lo skyline squadrato della città, la luna e quella torre scintillante sembrano così inspiegabilmente evocativi e familiari.
Il mattino seguente ripartiamo dalle strade di Akasaka, fitte di grattacieli che specchiano il cielo. Il luogo di pace e armonia della City giapponese è appollaiato sulla collina, è il celebre Hie Jinja, il tempio scintoista costruito nel 1478 per proteggere la vecchia città Edo. E’ proprio qui che, tra una preghiera di prosperità economica e una di desiderata fertilità, si accalcano i salary man per ritrovare equilibrio e “sfuggire dal caos“. A pochi passi dall’enorme santuario, nascosta dai rumori della città, è situata la splendida scalinata di Torii rosso accesso. Attraversarla è sorprendente.
Dopo un giro a Ginza per uno stop obbligatorio da Dover Street Market, dove io mi regalo un nuovo portafogli rosso fiammante di Comme Des Garçons, prendiamo una metro diretta a Omotesando. Il nostro tavolo da Aoyama Flower Market ci attende e così, immersi tra i fiori di una Tea House elegante e ricercata, ci godiamo i manicaretti dall’influenza occidentale accompagnati da caldi tè dai gusti floreali.
Concluso il pranzo passeggiamo per Omotesando, raggiungiamo Harajuku per curiosare tra i teen-shop e gustiamo un gelato da Eiswelt Gelato. E’ ottimo! Noi scegliamo quello con la buffa forma di una verde ranocchia al sapore di tè matcha. Dato il menu dal gusto trash, da Monster Café entriamo solo per curiosare tra i tavoli a forma di tazze, i funghi esagerati, i mostri onirici e i macaroons giganti appesi alle pareti dai mille colori.
Se nell’estate 2014 il nostro luogo preferito era il parco di Ueno, quest’anno ci rifugiamo spesso nelle stradine che contornano Omotesando con la sua sorprendente architettura contemporanea, i negozi di lusso e i bistrò super trendy. Torniamo più volte, per passeggiare, per una pausa caffè o per le cena, dove troviamo soluzioni a portata di portafogli.
Un po’ di cultura non può mancare. Se nel pomeriggio ci spingiamo un po’ fuori dal centro – per scoprire una Tokyo rilassata e illuminata dalla morbida luce che esce dalle case – per visitare (il costosissimo) Museum of Modern Art, a tarda sera ci dedichiamo all’arte gratuita del Espace Louis Vuitton che ospita un’esposizione curata da Virgil Abloh.
Il terzo giorno una scrosciante pioggia ci dà il buondì. Per fortuna che noi abbiamo due biglietti per il TeamLAB Planets Museum Tokyo. Un percorso artistico esperienziale che interagisce con i visitatori mutando continuamente forma. Tra musica, acqua, luci, emozioni e selfie trascorriamo qui due ore di puro divertimento. Usciti dall’esperienza artistica, pranziamo nella caffetteria Franz & Evans.
Solo nel pomeriggio il sole torna a illuminare le strade della città.
To be continued…